Lettera a un giovane calciatore by Darwin Pastorin

Lettera a un giovane calciatore by Darwin Pastorin

autore:Darwin Pastorin [Pastorin, Darwin]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sports & Recreation, Soccer
ISBN: 9788861909632
Google: Ps-qDgAAQBAJ
editore: Chiarelettere
pubblicato: 2017-05-09T22:00:00+00:00


Mundial (primo tempo)

Il momento più alto, più emozionante, più atteso del calcio è il Mondiale: anche chi non segue il rotolare di un pallone, nei giorni della coppa si appassiona, mette la bandiera tricolore sul balcone e palpita per i ragazzi in maglia azzurra. In certi frangenti della nostra storia politica e sociale, nel pieno di tensioni e dolori, fu un successo della nazionale a riunire gli italiani sotto il vessillo tricolore, seppur momentaneamente e simbolicamente, come accadde, per esempio, al Mundial messicano del 1970, dopo il 4-3 alla Germania Occidentale, in semifinale, ai supplementari: quella partita, disputata il 17 giugno allo stadio Azteca di Città del Messico, portò tantissima gente a scendere nelle piazze e per le vie – in quella notte italiana – e abbracciarsi. Era la stagione delle lotte operaie e studentesche, di un Potere occulto, uno Stato assente, in cui la gente era divisa in tutto e su tutto (io, sia chiaro, stavo dalla parte degli studenti e degli operai).

Scommetto che anche tu, Giovane Calciatore, come quel giovanissimo Maradona in un filmato amatoriale Super8, sogni di giocare e vincere un Mondiale, di alzare la coppa lassù, in un tripudio di folla e colori. Dieguito, sempre in Messico, ma nel 1986, mantenne la promessa di «ganar la copa».

La prima Coppa del Mondo della mia vita (si chiamava ancora Rimet, dall’ideatore della manifestazione, il dirigente sportivo francese Jules Rimet) è quella del 1958, quand’ero in Brasile, a San Paolo. Avevo tre anni e il ricordo, ovviamente, è sbiadito, più che altro la somma di tante voci. Ritrovo nella mia memoria (ricostruendo le varie testimonianze) un’allegria sfrenata dopo il trionfo della Seleção in Svezia, la Seleção che riscattò la taça, la coppa, gettata via nel ’50 in casa, al Maracanã di Rio, contro l’Uruguay di quel gran genio di Schiaffino. I miei genitori mi raccontarono del nostro quartiere (Cambuci) in festa come per un altro carnevale. Il Brasile del ragazzino Pelé, l’ex lustrascarpe mineiro, che salì alla ribalta con le sue acrobazie, con quella classe «benedetta da tutti i santi presenti nel calendario», secondo un detto popolare. Scrisse Jorge Amado: «Che bella persona è Pelé, al secolo Edson Arantes do Nascimento, grande brasiliano, uno dei più grandi, non c’è mai stato nessuno come lui, né mai ci sarà. Nato nel Minas Gerais, da bambino suscitava stupore in chi lo vedeva giocare, a diciassette anni vinse la Coppa del Mondo in Svezia, ha fatto per decenni la felicità degli occhi e del cuore della gente, ogni gol era un capolavoro, è un genio del pallone, il simbolo della dignità sportiva». 1

Anche se a portare la stravaganza e la commozione fu Mané Garrincha, l’angelo dalle gambe storte, il bimbo povero con la poliomielite diventato un campione: lui, che visse una vita senza averla mai vissuta. E poi José Altafini, che giocò le prime partite da centravanti, prima dell’avvento di Vavá, l’idolo del Palmeiras, la squadra amata da me e mio padre, che un tempo si chiamava Palestra Italia e venne fondata nel 1914 dai nostri immigrati.



scaricare



Disconoscimento:
Questo sito non memorizza alcun file sul suo server. Abbiamo solo indice e link                                                  contenuto fornito da altri siti. Contatta i fornitori di contenuti per rimuovere eventuali contenuti di copyright e inviaci un'email. Cancelleremo immediatamente i collegamenti o il contenuto pertinenti.